venerdì, Dicembre 13, 2024
ArticoliStorie dell'altro secolo

Storie dell’altro secolo: I RAGAZZI DEL MESSICO – 2° Parte

Quello del portiere è il ruolo più duro. Reattività e riflessi, galleggiare non basta: bisogna uscire dall’acqua fino al costume. Devi avere una visione complessiva del gioco, guidare la difesa, dare sicurezza ai compagni, ma soprattutto parare i tiri degli avversari. La Rari Nantes, per tradizione, ha sempre avuto dei grandi portieri ma bisogna dire che, in quei primi anni, si superò. Se Luciano Africa era il titolare della prima squadra, altri alle sue spalle crescevano. Alberto Fanciulli, anche lui molto bravo ma che, per motivi di lavoro, fu costretto a lasciare l’agonismo dopo il primo anno di serie C ma che continuò ad essere sempre presente nei vari tornei amatoriali che venivano organizzati a fine estate. Il futuro era, senza ombra di dubbio, rappresentato da Massimo Cimini e Renzo Loffredo cresciuti entrambi nella Carlo Loffredo. Adorno non aveva preferenze, i migliori avrebbero giocato ma dava spazio anche alle riserve in quanto il suo motto era che il sacrificio andava comunque premiato. Ma, per Massimo e Pepo Costagliola, aveva un debole. Forse per le grandi capacità natatorie che per lui venivano sempre al primo posto. Inoltre credo che nel primo rivedeva un pò se stesso da ragazzo. Massimo a diciotto anni aveva un fisico già bello che fatto che un pò ricordava quello, sebbene irraggiungibile, di Adorno. E, cosa ben più importante, era un ragazzo serio. Non saltava un allenamento facendoli sempre a tutta. L’unico inconveniente, se così si può chiamare, era che dall’età di quattordici anni le estati le doveva passare al Giglio dove il padre lo portava a lavorare, per cui gli allenamenti li svolgeva al Campese seguendo una tabella fatta appositamente per lui dall’allenatore. Per le partite in casa in qualche modo si organizzava, prendendo il traghetto delle quattro o trovando qualche passaggio su un’imbarcazione di rientro per poi, una volta arrivato al porto del Valle, c’era un motorino che lo aspettava a tutta lo portava in piazza. La sua presenza, in dubbio fino a quando lo si vedeva spuntare dalla curva della Pace, era sempre salutata con un boato di sollievo da tutti, allenatore in primis. Dopo la partita, senza nemmeno avere avuto il tempo di farsi una doccia, di nuovo di corsa verso lo scalo del Valle per salire sull’ultima nave diretta nell’isola dove arrivava appena in tempo per il primo turno del ristorante dove avrebbe lavorato, tutto insalato, fino a mezzanotte. Se per le partite casalinghe si poteva in qualche modo organizzare , le trasferte erano praticamente impossibili e, a meno che suo babbo non gli dava il giorno libero, era costretto a saltarle.

Renzo, era due anni più giovane di Massimo, ma entrambi mostravano più anni di quelli che avevano. Caratterialmente erano uno l’opposto dell’altro. Sia nella vita che nello sport. Renzo, parente di Adorno essendo figli di due cugine, era sempre sullo scherzo, chiamando tutti per soprannome e a chi non ce l’aveva state sicuri che glielo metteva lui. In questo era un maestro. Non chiamava mai per nome, se proprio ne era obbligato usava il cognome facendolo però in una maniera così ironica da sembrare ugualmente una presa in giro. Aveva poca voglia di allenarsi, sia a calcio che a pallanuoto, preferiva le partitelle al lavoro atletico. Inoltre pativa, come d’altronde Adorno, molto il freddo dell’acqua. Ma era in possesso di un talento eccezionale con doti sia fisiche che tecniche superiori alla media in tutti gli sport in cui si cimentava. Ai Giochi della Gioventù eccelleva nel salto in lungo, triplo e alto. Il suo limite era che non prendeva mai le cose sul serio, buttandola sempre in caciara il che, a pensarci bene, era anche il motivo che lo faceva piacere a chi gli stava intorno. Nel 1973 l’Argentario calcio raggiunse per la prima volta la Prima Categoria. Renzo aveva diciassette anni e giocava nella Juniores ma il tecnico Enzo Goracci, appena arrivato e sentendone parlare in modo eccellente, chiese ai dirigenti:”Portatemelo! Lo voglio provare!”. Piero Berni, sapendo dove poteva trovarlo andò a colpo sicuro al Club dove lo vide appena entrato mentre stava sgrullando un flipper. Renzo non ne voleva sapere di salire in macchina per andare a colloquio con l’allenatore, così che Piero fu costretto a trascinarlo al campo a forza di spinte e strattoni. Partirono dalla piazza alle tre per arrivare al Campone alle sei quando ormai Goracci era già a Grosseto e fuori la farmacia comunale c’era la fila che aspettava l’apertura. Ma se nella vita e nel calcio era un ragazzo burlone, in un’occasione diventava serio e concentrato: al fischio d’inizio della partita di pallanuoto. In un attimo si concentrava iniziando ad impartire indicazione ai compagni di reparto sempre pronto a far ripartire l’azione offensiva una volta entrato in possesso del pallone. Durante l’incontro non scherzava e se subiva gol lo si capiva che provava una grande delusione. Nel 1973, primo santostefanese, venne convocato dalla Nazionale Italiana Juniores di Pallanuoto per un concentramento all’Acqua Acetosa dove destò un’ottima impressione ai tecnici federali i quali assicurarono gli accompagnatori che a quella volta ne sarebbero seguite altre. Sia Massimo che Renzo erano entrambi dotati di un lancio lungo e preciso, più o meno di venticinque metri con il quale servivano Mezzochilo prima e Francone poi, i quali provavano a concludere a rete per battere il portiere. Eravamo in un periodo in cui il post sessantotto aveva attecchito anche da noi. Il ritrovo dei giovani era il Bar Buco. Le ragazze erano più libere di uscire e frequentarsi con i ragazzi. Massimo, Renzo e Franco erano molto amici. Dopo cena, pur essendoci in giro il coprifuoco, uscivano a parlare soprattutto di donne, con una sola sigaretta da dividersi in tre, seduti sul murello o con la schiena appoggiata alle serrande, facendosi un sacco di domande per poi rispondersi “e se alla fine fosse tutto qui?”. Al di fuori dell’ambito sportivo frequentavano la stessa ghenga. Con loro anche Fabrizio ed altri fuori dal giro della pallanuoto. In quegli inverni andava di moda affittare una casa per “andare a giocare a carte” mentre si ascoltava la nuova musica. Di solito questi appartamenti si trovavano alla Grotta, alla Strada del Sole o all’ Appetito. Insomma in posti non ancora ad alta densità abitativa Ma il vero motivo era quello di portarci le ragazze e quella era una cosa da fare assolutamente di nascosto, senza farsi vedere. Se erano amiche si poteva andare insieme ma se non si frequentavano era preferibile che non sapessero l’una delle altre, per cui poteva andare uno solo, alternandosi. I sabato sera invernali, come tutti i ragazzi del paese, andavano a caccia di ragazze nelle serate da ballo che si svolgevano al Filippo e al Mulino di Orbetello.

C’era un accordo fra di noi
Che non sbagliava quasi mai
Più che fratelli, tu lo sai
Io le mie avventure, tu le tue
C’era una stanza presa in due
E tirare a sorte chi ci va

…………………………..
(Come si fa, Pooh, 1973)

 

Il 1972 vide il rientro di Adorno e Massimo Cimini, mentre Renzo si riprese la porta della rappresentativa Juniores. Luciano Africa garantiva la massima sicurezza in porta, per questo Alberto decise di schierare Massimo a metà vasca e la mossa risultò subito azzeccatissima essendo il giovane un buon palleggiatore con grande visione di gioco. Il resto della squadra era più o meno lo stesso dell’anno precedente e così fu il risultato finale: terza posizione. Intanto in quell’angolo di piazza, ormai diventato la casa della pallanuoto santostefanese, il mondo stava cambiando. Dove c’era stata fino a poco prima la stazione della Rama aprì un forno ed al posto della presenza di Idelmo Tana dovemmo abituarsi a quella di Vittorio Pettola e della sua sorella. Dopo l’inizio di Via Cappellini c’era un’agenzia di assicurazioni gestita da Giancarlo Lumacone, accanto alla quale aprì l’Immobiliare di Pietro Bracci con un pò più in là L’Argentarola di Memmo Rosi. In mezzo a queste due non c’era più Marcello Rossi con l’alimentari, ma resisteva Antonio il Sarto con la sua merceria-abbigliamento e, soprattutto, in Agosto, punto di ritrovo dei rionali più accesi. Proseguendo trovavamo la
storica boutique della signora Elsa “La Vela” accanto alla quale proprio in quegli anni aprì il negozio di giocattoli di Sauro Danei. In Via Iacovacci era appena arrivata da Novara la giovane ed affascinante parrucchiera Irene, davanti alla quale resisteva, ma ancora per poco, la macelleria di Adriano. La bella Gina aveva ormai passato l’attività al fratello Fello che usava anche il magazzino accanto ai cannoni per tenerci frutta, verdura e cassette vuote. Dall’altra parte c’era la vecchia friggera di Donna Barona dove nei pomeriggi Athos e Tullio della Manzona si incontravano per fare i modellini di nave e, nel magazzino accanto al portone, aprì il Souvenir di Lauro. Fino al 1970 in paese non esisteva ancora una pizzeria al piatto e, chi ne avesse avuto voglia, doveva andare o al Pirata o alla Lampara di Porto Ercole o alla Bersagliera di Orbetello. Proprio in quell’anno un trentaseienne si lanciò nell’avventura di aprirne una chiamandola Pizzeria da Zirio e fu subito successo. Il Bar Chiodo era ancora gestito da Renato e Laura, dietro il bancone Ada mentre i camerieri erano Fufi e Gianni di Tommasino di Iride. Ai gelati Fiorella e la gigliesina. Accanto aprì un girarrosto-pizzeria di proprietà della famiglia Chiti di Grosseto che portarono la novità della pizzetta tonda con in mezzo un pò di mozzarella. Se volevi te la piegavano pure in due a mò di portafoglio, ma dovevi stare molto accorto nel momento in cui davi il primo morso perchè bruciavano in modo terribile e i più avventati, si procuravano delle vere e proprie ustioni alla bocca. Sul finire degli anni sessanta, Nedde aprì un negozio di scarpe che, l’anno dopo, cedette ad un giovane viterbese: Roberto Marini. Ai due lati del portone del Sor Ettore trovavamo a monte un negozio di ceramiche gestito da una commessa che assomigliava in tutto e per tutto a Minnie Minoprio e, a valle, dove fino a qualche anno prima c’era il negozio del fotografo Genovese, un altro souvenir che Gustavo Bancalà gestiva con la moglie Silva. Al centro di tutto questo c’era la pila che più di trecento anni prima dette il nome al luogo più bello del paese. Senza ombra di dubbio la pila, negli anni della pallanuoto a mare, veniva considerata per importanza, seconda solo al campo di gara in quanto era il luogo dove i ragazzi andavano a farsi la doccia venendo usate con grande divertimento anche dalla squadra in trasferta. Le ragazze aspettavano la fine degli allenamenti e, appostate nelle vicinanze, si godevano il passaggio di quei fusti che attraversavano la strada con in una mano l’accappatoio e nell’altra il sapone per poi buttarsi sotto lo scroscio dell’acqua ghiacciata. Non poche volte, proprio in quei momenti, sono nate delle storie durate anche l’arco di una sola notte. Come sempre accade c’era anche chi trascendeva, esagerando per volgarità e ignoranza, ravanando nelle parti intime mentre pronunciava parole non adatte ad un luogo pubblico. Naturalmente quando ciò accadeva, il gesto veniva stigmatizzato dal resto dei compagni che redarguivano il maleducato dicendogli di smetterla. La banchina era piena di piccole barche e al largo di corpi morti. Il rais era Ettore Fischio che, da solo, pensava a tutto. Aveva anche una motobarca di nome Ida, come la moglie, con la quale faceva anche la spola con le navi da guerra americane che rimanevano alla fonda. A volte i marinai avevano una squadra di pallanuoto con cui sfidavano la formazione locale.

Ma il 1972 viene ricordato soprattutto per un fatto accaduto in quell’estate. Una sera, alla fine degli allenamenti, Alberto fu avvicinato da una signora che presentandosi disse di essere la moglie di un un tecnico di pallanuoto che, avendo seguito per svariati giorni la loro performance dalla propria casa, avrebbe avuto il piacere di conoscerli e, mentre diceva queste parole, si voltò verso il molo indicando un punto preciso. Alberto seguì il dito della donna e il suo sguardo finì su un balcone del secondo piano sopra il negozio di Minnie Minoprio dove un gigante stava salutando agitando la mano. La signora, rispose che il marito era francese e che, se gli impegni inerenti alla squadra lo permettevano, avrebbero potuto organizzare un incontro per il giorno dopo. Alberto accettò volentieri dicendo che si sarebbe presentato con i ragazzi il pomeriggio seguente prima dell’allenamento. Mentre la signora si allontanava, ripensandoci, la chiamò per chiedergli il nome del marito. Alberto si aspettava un nome e cognome che magari lo riportasse ad un tecnico o almeno un vecchio giocatore ma si sentì rispondere un semplice: ”Pippo”. Alberto rimase un attimo a ripetere tra sé e sé quel nome cercando qualche aggancio che gli facesse capire di chi si trattasse e sgrullando la testa si diresse verso i ragazzi riportandogli per filo e per segno il colloquio appena avuto. Il giorno dopo, Enrico, Alberto, Adorno, Angelo Carosi e una decina di ragazzi si presentarono alla loro porta e vennero fatti entrare dalla signora che aveva in collo un bambino di non più di un anno che presentò come loro figlio. Li fece accomodare in salotto dove, sul divano, li aspettava Monsieur Pippo che, di persona, sembrava ancora più vecchio. Ad occhio e croce una sessantina di anni così che tra lui e la moglie ci sarebbero stati ben più di trent’anni. L’uomo si alzò presentandosi in un francese misto a italiano sostenendo che, nato a Tunisi, era stato un olimpionico con la nazionale maltese nel lontano 1936. In seguito era stato giocatore prima ed allenatore poi in diverse nazioni europee. Alla fine chiese di conoscere uno per uno tutti i ragazzi i quali si erano messi in fila. Scambiò la mano con tutti ascoltando attentamente il loro nome ripetendolo tra sé e sé per cercare di memorizzarlo. Quando arrivò davanti all’ultimo, il più piccolo con gli occhi furbi e la testa pieni di riccioli neri, lo anticipò dicendo: “Mais je te connais! C’est toi le petit diable!” e, con il respiro affannato, si rimise a sedere sul divano invitando Enrico, Alberto e Adorno di mettersi accanto a lui. Nel frattempo una giovane entrò in salotto con una teiera ed un misto di bicchieri e tazze da thè. Lui si versò un bicchieretto di Martell e lo offrì anche ai più grandi che, a parte Enrico che se ne versò un dito, dovendo fare gli allenamenti gentilmente rifiutarono. L’uomo si esprimeva in una lingua difficile da capire all’infuori che per Oscarino che aveva studiato il francese e un pò ci pigliava. Capirono però tutti bene quando promise che avrebbe fatto arrivare direttamente dalla Francia un camion con delle tute per loro. Allungò un taccuino ed una penna ad Alberto chiedendogli di scrivere i nomi con le rispettive misure e chiedendo di che colore le preferivano e cosa doveva esserci scritto davanti .Dopo un pò di indecisione, quasi increduli, si arrivò alla conclusione che dovevano essere blu con scritta bianca RARI NANTES ARGENTARIO. Pippo finì dicendo che li avrebbe seguiti ogni pomeriggio dal balcone e per qualsiasi bisogno lui ci sarebbe stato. Si rialzò di nuovo per salutarli con una stretta di mano dicendo alla moglie di accompagnarli alla porta. Lui si avvicinò alla vetrina dove si trovava un giradischi e, dopo averlo spolverato, ne mise uno.

Avec le temps
Avec le temps, va, tout s’en va
On oublie les passions et l’on oublie les voix
Qui vous disaient tout bas les mots des pauvres gens
Ne rentre pas trop tard, surtout ne prends pas froid
…………………………………………………………..
(Avec le temps, Léo Ferré, 1971)

Nelle settimane seguenti Pippo, servendosi di un megafono, incitava il gruppo dal balcone a colpi di “Tres bien! Allez comme ça! Pas comme ça! Je veux plus d’intensité!” con Oscarino
che si sentiva importante perché traduceva tali ordini. Una mattina, al moletto, Pippo radunò tutti i ragazzini presenti sul blocco ed organizzò una gara di nuoto a stile libero dallo scoglione agli ombrelloni di fronte e ritorno, per un totale all’ incirca di 120 metri, promettendo un premio per il vincitore. Mentre una quindicina di pischelli si allineavano sulla linea di partenza, spingendosi l’un con l’altro per guadagnare la migliore posizione lui, nella sua imponente presenza resto in piedi sul blocco. Bermuda color kaki, camicione bianco con in testa un cappello da esploratore. In mano l’immancabile sigaro. “Prets Partez!” urlò Pippo quando ormai Mauretto l’aveva anticipato di un paio di secondi. Alla girata il gruppo si era già sgretolato ma, per decidere il vincitore, ci fu bisogno di un vero e proprio fotofinish rappresentato dal cappello che Pippo sventolò nel momento che Claudino e un altro tagliarono il traguardo praticamente appaiati. I due bimbetti salirono insieme sul blocco battibeccando su chi avesse vinto ma, in modo insindacabile, il francese puntò il dito verso secondo che, esultando, gli si pose davanti aspettando il premio. “Ouvrè te manò” gli disse Pippo. Appena il ragazzino l’aprì gli mise sopra il sigaro e con due colpetti gli fece cadere la cenere sopra. La verità era che il francese era sì un tipo ammaliatore ma per la stessa ragione la maggior parte riteneva che Pippo fosse stato un grande bluff e ci si trovava davanti ad un mitomane anche perchè le agognate tute tardavano ad arrivare. Ogni volta che Alberto gliene chiedeva atto si sentiva rispondere “Les survetements sont arrêtés à la frontière de Vintimille” facendo aumentare i dubbi che avevano su di lui. Un bel giorno di agosto Pippo, così come era arrivato, sparì senza lasciar traccia di sé. Non di rado, mischiati tra il pubblico, si potevano vedere persone famose come Enrico Maria Salerno, Carlo Pedersoli, Silvano Tranquilli, Armando Trovaioli, Stefania Sandrelli e  Federico Monti Arduini conosciuto ai più come il Guardiano del Faro che, proprio in quelle estati, capeggiava la classifica dei dischi più venduti con le sue musiche al moog. Poi c’era Vincenza che non si perdeva per nulla al mondo una partita mettendosi in prima fila, subito dietro all’allenatore con cui era legata da una grande amicizia. Era la cugina di Fernanda la mamma di Adorno e, dopo una vita passata a Napoli, giunse in paese dove i parenti gli affittarono un appartamento nel loro palazzo. Era una donnona, con voce roca e risata grassa. Seppur di carnagione scura si truccava in modo pesante preferendo colori sgargianti. Le mani piene di anelli, collana di perle e pendants alle orecchie che la facevano assomigliare ad una gitana. Fumava più di un pacchetto al giorno di Marlboro, rigorosamente con il bocchino portandoselo alla bocca dopo avergli fatto fare un ampio giro sopra alla testa. Frequentava il Bar Giulia dove si riempiva di caffè. Cercava sempre la compagnia, se non c’erano amiche non esitava a sedersi al tavolo con soli uomini, cosa insolita per i tempi. Quando invece la si vedeva da sola significava che aveva un attacco di malinconia. Di cosa nessuno lo sapeva.

Che vuole questa musica stasera
Che mi riporta un poco del passato
Che mi riporta un poco del tuo amore
Che mi riporta un poco di te
…………………………………………..
(Che vuole questa musica stasera, Peppino Gagliardi 1967)

 

Erano anni in cui, per tutti, la vera ossessione era la piscina. Nessuno capiva perché, in ogni città dove andavano a giocare, ce n’era una mentre loro erano costretti a giocare ancora in mare. Il fatto che al tempo i campionati si svolgevano nella bella stagione non bastava più come giustificazione data dalla politica locale, perché un conto era potersi allenare tutto l’anno ed un altro per solamente tre mesi. Per raggiungere il loro sogno la società organizzava delle manifestazione sportive atte ad attirare l’interesse sia della popolazione che del palazzo, promesse se ne facevano tante ma, ogni inizio estate, i ragazzi si ritrovavano sempre nello specchio d’acqua davanti al Messico. Nel 1972 venne organizzata la 100×100 che consisteva in una staffetta tra cento atleti, più o meno presentabili, che si passavano il testimone. Naturalmente raggiungere tale numero non fu affatto facile e oltre agli atleti in età agonistica, vennero coinvolte anche le vecchie glorie ovvero tutti coloro che facevano parte della prima Rari Nantes formatasi subito dopo la guerra. L’anno dopo fu la volta della 24 ore di nuoto che iniziò alle ore venti di un sabato sera di luglio per terminare alle venti della domenica. In questo caso gli atleti coinvolti furono quarantotto ed ognuno di essi doveva coprire l’arco temporale di mezzora. Ogni partecipante poteva nuotare nella sua specialità preferita ed è rimasta agli annali la performance di Circe che partì alle ventitrè nuotando nel suo stile, il dorso. Dopo circa un quarto d’ora i tanti presenti notarono che dopo aver sbattuto al palo con cui terminava la corsia, non girò ma continuò a nuotare verso il largo. Nulla di grave. Semplicemente si era addormentato. Alle due manifestazioni parteciparono anche tre ragazze, regolarmente tesserate con la Rari Nantes, le figlie di Enrico, Anna ed Angela, ed una giovane romana, Simona Ciriaci, la quale passava le estati al moletto dove iniziò a frequentare l’ambiente natatorio. Le ragazze venivano coinvolte anche nelle gare che ogni anno si disputavano al Carrubo ed al Mascherino. All’inizio dei Settanta la Rari, nel mese di luglio, organizzava il Torneo dei Rioni tra ragazzini sotto i quindici anni. Le squadre erano composte da un massimo di tre tesserati ed il resto da semplici principianti facendo sì che ogni anno venissero individuati almeno due o tre elementi da inserire nell’agonismo. Praticamente si poteva equiparare al palietto rispetto al palio. Questi tornei ebbero un grande successo e venivano seguiti da un gran numero di spettatori. Da lì iniziò praticamente l’ascesa di Arturo Pera che, sapendo sì e no nuotare, decise di fare l’allenatore del Valle, ruolo che non era assolutamente previsto, infatti gli altri rioni ne facevano volentieri a meno, lasciando i ragazzi stessi il compito di allenarsi e la formazione che scendeva in acqua. La prima edizione Arturo riuscì a formare un team veramente importante con in porta addirittura Renzo Loffredo, convinto crociaiolo. Si diceva anche che lo pagò di tasca sua pur di averlo con sé. Dopo quell’avventura la Rari decise di affidargli prima la squadra allievi e quella juniores dopo. Il 1973 fu l’anno della svolta, con tanti giovani che, con pieno merito, divennero titolari. L’unico anziano che mantenne il posto fu Adorno e attorno a lui girava una compagine sbarazzina e vivace con Renzo in porta coadiuvato da una new entry che però giocava altrettanto bene in posizione avanzata. Si chiamava Carlo Busonero, e veniva dall’Argentina. Poi Massimo Cimini, Fabrizio Fanciulli, ed un gruppo di juniores tra i quali i migliori erano Marcello, Anastasia prima scoperta di Pera ad essere lanciato in prima squadra e i fratelli Giovani, che si giocavano i restanti posti con gli “anziani” Mino, Oscarino e Domenico l’Accionnato. Ma, su tutti iniziava a splendere la stella di Franco Picchianti, che un pò alla volta divenne il più grande di tutti. In quel campionato di serie C promozione la squadra arrivò seconda eguagliando la posizione finale della Libertas Argentario nel 1970. Una volta finito il campionato, quasi sempre alla fine di luglio, l’attività non si fermava e, quasi tutti i fine settimana si svolgevano agguerrite partite amichevoli tra Scapoli e Ammogliati, mentre a Settembre l’indimenticabile Seccafichi, un torneo tra quattro squadre che, al fine di risultare equilibrate, venivano sorteggiate seguendo il principio delle teste di serie. Venivano coinvolti una quarantina di atleti ed era seguito da una notevole folla che si appassionava all’esito delle partite. Folta era la partecipazione delle vecchie glorie, tra cui Renzo Saluz che abitando a Trieste veniva ogni anno appositamente per partecipare al torneo. Era un ex rugbista la cui mamma era una De Dominicis sorella di Pipi del baccelletto. Era un tremendo picchiatore e con lui emergeva quella pallanuoto, quel gioco cioè in cui “l’acqua alla gola” non era una metafora, ma una realtà e un ammonimento allegro. Passati alla storia i suoi duelli sott’acqua con Franco la bestia.

MESSICO
ESTATE 1974

Assodato che, anche per quella stagione, la piscina era rimasta un sogno, i ragazzi si presentarono ai nastri di partenza del campionato di serie C promozione dopo un’ inverno passato allenandosi, in maniera saltuaria, nella piscina sulfurea dell’Osa sotto la guida di Mino, Alberto ed Adorno. Una menzione va fatta riguardo al palio. Non c’era estate nella quale non usciva la voce che Adorno avrebbe fatto il palio con la Pilarella. Cosa che però, fino a quell’anno, non era mai avvenuta. Pur amando e vivendo il suo rione metteva il nuoto davanti a tutto anche se si dilettava con la canoa e, ogni 16 di agosto, non mancava mai al palietto che vinceva sempre. Purtroppo i due avvenimenti si svolgevano nello stesso periodo dell’anno con gli allenamenti incompatibili tra loro. Quella aveva tutto per essere un’annata con i controfiocchi. La prima squadra e la rappresentativa juniores,erano composte in gran parte dagli stessi elementi giunti ormai nel pieno della maturazione. Alberto seguiva scrupolosamente entrambe le squadre coadiuvato da Adorno che il suo occhio sulla squadra giovanile lo buttava sempre. La prima squadra era praticamente la stessa dell’anno precedente e migliorarsi avrebbe voluto significare solo una cosa: vincere per la prima volta il campionato di Serie C promozione e andarsi a giocare gli Interregionali a Roma. Ritornando alla rappresentativa Juniores, oltre ai componenti nel giro della prima squadra, erano presenti il portiere di riserva Demetrio Pacheto, Dudù, Massimo Piovino, Mario il Negro e Roberto Galatolo detto Cevasco unico ad aver avuto un soprannome con il nome di un pallanuotista del Settebello Azzurro. Roberto era incaricato alla fine di ogni partita, specialmente in trasferta, a raccogliere i coppolini e i palloni e metterli nelle macchine. Aveva un bel palleggio e un buon tiro ma mancava di cattiveria. Conobbe il suo attimo di celebrità in un modo casuale. Proprio in quell’anno uscì un settimanale che pubblicava barzellette sconce. Si chiamava 3⁄4 d’ora e Roberto ne era appassionato. Un pomeriggio si presentò all’allenamento tutto ingarito sventolando la rivista. Gli avevano pubblicato la barzelletta che gli fece vincere anche cinquemila lire. Era una vignetta che rappresentava un barattolo come quelli dei fagioli solo che sull’etichetta c’erano disegnati dei piccoli cazzetti, con il testo della barzelletta che diceva: “Nel 2000 li venderanno così!”. Le partite delle giovanili venivano svolte solitamente il mercoledì con la squadra che andava in trasferta servendosi principalmente del treno quando le località erano facilmente raggiungibili, altrimenti bisognava avvalersi delle con macchine private o, in alternativa, i taxi di Mecone e Mechino.

 

PIAZZA
17 LUGLIO 1974 ore 14.00

Quel giorno i ragazzi erano attesi al Parco delle Cascine di Firenze per una partita del Campionato Regionale Juniores contro il temibile Cus. Arrivare nel capoluogo in treno non era affatto comodo così la società optò per un trasferimento in auto. I mezzi si sarebbero ritrovati in piazza e all’entrata del paese, a seconda di dove abitavano gli atleti convocati. In piazza quelli della Pilarella e del centro storico che in quel momento erano la maggioranza, mentre quelli del valle dove Boscherini. Alle due del pomeriggio, davanti all’ archetto, era rimasta una sola macchina da completare, con l’ultimo ragazzo in giustificato ritardo avendo la mattina svolto le lezioni di nuoto al Pozzarello tornando a casa dopo l’una. I tre giovani in attesa erano uno dello Sconcione e gli altri due del molo. Il mancante doveva arrivare dalla Piazzetta dei Quattro Venti davanti il Ponte di Comando. Faceva molto caldo senza una minima bava di vento. Il sole era giunto ormai dietro i palazzi del molo lasciandolo nell’ombra illuminando a sua volta la piazza rendendola cocente. Però, guardando verso l’Amiata si potevano notare le classiche nubi a forma di cavolfiore, i cumulonembi, che non promettevano nulla di buono per il resto della giornata. Probabilmente, come al solito, da noi non avrebbe fatto una goccia d’acqua ma, nell’entroterra, chissà. I tre stavano parlando del
più e del meno, ogni tanto il più grande controllava l’ora fino a quando lo vide scendere dalla scalinata accanto al Centrale: “Eccolo arriva. Andiamo!”. L’aria scanzonata era quella di sempre. Capelli lunghi, torso nudo, bermuda jeans sfilacciati, ciabatte intrecciate marroni. Non sopportava le infradito. Con una mano teneva dietro la spalla il borsone della SS. Argentario e, con l’altra, si portava una mela alla bocca addentandola con avidità. Giunto sulle strisce si fermò per un attimo e, con grande gesto atletico, lanciò il torsolo a mare.

 

Andava a piedi nudi per la strada
Mi vide e come un’ombra mi seguì
Col viso in alto di chi il mondo sfida
E tiene in piedi un uomo con un si
………………………………………
( Anima mia, Cugini di Campagna, 1973 )

 

FIRENZE
18 LUGLIO 2024

C’è una foto che ricordo ma che non riesco a ritrovare. Si vede Roberto, un mio compagno di squadra, in piedi accanto a me, mentre gli sto passando la calottina di pallanuoto o, come la chiamava Tullo, oro a Roma con il Settebello, la “berretta”. Siamo sul bordo della piscina delle Pavoniere. E’ il tardo pomeriggio del 17 Luglio 1974, una bellissima giornata d’estate, di quelle che sembrano non finire mai. A farmi la foto è Andrea, un mio compagno di scuola. Si vede noi due appena usciti dall’acqua, con i capelli attaccati alla testa, lisci e levigati come essere anfibi. Contenti di aver giocato. E’ una bella sensazione, la stanchezza che ti ha svuotato di ogni energia e l’acqua che ti scivola addosso. Quella foto devo averla messa tra le pagine di un libro, per riguardarla, ma non so più dove è finita. Magari un giorno a sorpresa ricomparirà, ma adesso non c’è. Quindi puoi solo immaginarla… Si e’ appena conclusa la partita fra noi, CUS Firenze e Rari Nantes Argentario. Io avevo da non molto compiuto i 17 anni. La partita e’ finita 6 a 6. Me lo ricordo bene, anche se è roba di 50 anni fa. Chi frequenta i cosiddetti sport minori, cioè tutto quello che non è calcio, sa bene che le trasferte sono fatte alla buona, qualche macchina raccattata in giro, riempita di ragazzi, attrezzature, borsoni, palloni e pochi adulti.

Non credo o almeno non ricordo di averli visti partire dal piazzale davanti alla piscina, che sta al centro del Parco delle Cascine. Non era usuale per noi giocare alla Piscina delle Pavoniere, in quella vasca dalla forma irregolare, che prende il nome delle grandi strutture in muratura, con le belle voliere per pavoni dislocate nel parco davanti alla villa. Si saranno fermati a mangiare, fare benzina, stanchi, chissà. Erano diretti a Porto S. Stefano, sull’Argentario. Dopo mezzanotte, non lontano da casa, lungo l’Aurelia una delle loro macchine ebbe un incidente. Morirono in tre. Avevano più o meno la mia età. Ho scovato nella memoria questa foto che non c’è per recuperare il ricordo di quello che successe pochi giorni dopo, quando contro ogni logica e contro ogni volontà fummo costretti ad andare a Porto S.Stefano a giocare la partita di ritorno.

Di fronte a me una scena da tragedia greca, l’acqua del porto nera che sa di benzina. Sulle banchine del porto e ovunque vicino a quello specchio d’acqua stavano centinaia di facce immobili. Una folla di persone in lutto. Tutto il paese era lì a ricordare quei tre ragazzi. In quel luogo che in genere era pieno di vita e di festa c’era una specie di funerale sportivo laico. Un modo per dare un senso a quelle vite stroncate. Tutto avremmo voluto fare, meno che giocare. Ma lo sport ha le sue regole assurde. Così il mister nella riunione prima della partita, ci ordinò di fare una serie di cose senza senso che nessuno, fortunatamente, pensò neppure lontanamente di fare. Nei miei ricordi l’acqua è gelida, color petrolio e la palla che tengo in mano è pesante come il marmo. Negli occhi dei ragazzi che mi vengono incontro c’è un bagliore furente, una rabbia disperata. Per fortuna quella partita finì.
( dal racconto di un giocatore del CUS Firenze, trovato sul web )

Negli anni seguenti quella squadra raggiunse la serie B, e chiuse il suo ciclo tramite una lettera con la quale, gli stessi atleti, chiedevano l’esonero dello storico allenatore. Enrico Zolesi fece di tutto per scongiurare questa decisione ma, alla fine, dovette cedere. Subito dopo, da grande uomo, si dimise dalla carica di Presidente della Rari Nantes Argentario. L’anno seguente, a Firenze, Alberto Milano costruì dal nulla una società chiamandola “Amici del Nuoto” con la quale in poco tempo raggiunse la serie B.

Fortune “Pippo” Schembri nacque nel 1911 a Tunisi, ed è stato veramente un pallanuotista maltese che partecipò ai Giochi Olimpici di Berlino nel 1936 dove era anche iscritto per gareggiare nel nuoto, ma non si presentò al via della gara di qualificazione dei 200 metri dorso. Allenò la nazionale maltese e tunisina. Morì nel 1981 a Roma ma le tute che aveva promesso non arrivarono mai.

Franco Picchianti ha giocato diverse stagioni in serie A con le Fiamme Oro Roma e con la Rari Nantes Argentario fino ai quarant’anni. Ancora oggi, se si parla di pallanuoto a Porto Santo Stefano non si può che cominciare da lui.

Massimo Cimini, in estate, nuota ancora fino alla madonnella e ritorno ma, se capita, non disdegna un extra al ristorante.

Pelagalli da addetto all’arbitro divenne un eccellente direttore di gara FIN.

Senza Adorno, Malizia si perse.

Anche dopo la costruzione della piscina, ogni giorno da Maggio a Ottobre, Enrico Zolesi nuotava dall’una alle due nelle acque davanti al Messico.

Mino iniziò a fare le traversate in tutta Italia vincendo in molte occasioni. Tra queste ha partecipato alla prestigiosa Capri-Napoli, vinto un paio di volte il Trofeo Manicone di Riccione, un secondo posto nella leggendaria Scilla-Cariddi, otto volte la Coppa Byron vincendone una, e vinto la Ponza-San Felice Circeo. Si è tolto anche lo sfizio di partecipare al palio marinaro con la Pilarella in quello che fu chiamato “l’equipaggio della pallanuoto”. Ancora oggi, a 85 anni, è da considerare una delle poche personalità nell’ambito culturale dell’Argentario.

Pera è da tanti anni il Sindaco di Monte Argentario.

Ulisse Gessani si sposò con la sorella di Antonio “bello di mamma” e dopo un pò morì.

L’arcigno difensore Angelo Landini sposò la ragazza che assomigliava a Minnie Minoprio.

Colonna sonora della storia:

  1. Impazzivo per te Adriano Celentano 1960
  2. Space Oddity David Bowie 1969
  3. Parole Nico e i Gabbiani 1967
  4. Concerto Alunni del Sole 1969
  5. La canzone del sole Lucio Battisti 1971
  6. Mamma mia Camaleonti 1969
  7. Come si fa Pooh 1973
  8. Avec le temp Léo Ferré 1971
  9. Che vuole questa musica stasera Peppino Gagliardi 1967
  10. Anima mia Cugini di campagna 1973
  11. Quelle notti Cor Veleno feat. Franchino 126 2024

“Ricordi anche i dettagli? Ricordo tutto“ ( Le braci, Sandor Marai )
Ciao, Una rotonda sul mare il nostro disco che suona.