venerdì, Aprile 19, 2024
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Storie dell’altro secolo: Elio di Artemia

Scrivere di Elio Loffredo non è proprio come prendere la penna e andare. C’è un rispetto dovuto, devi entrare delicatamente nel suo mondo, capirne l’umanità, ricordarti di quello che in passato hai provato e capito. Una cosa la posso dire con certezza, fossi sicuro di aver imparato qualcosa, lo metterei senz’altro fra i miei maestri. Tante mie storie sono nate dopo aver chiaccherato con lui del più e del meno. Del presente e del passato.

Elio nacque il 10 Aprile del 1931 da Ezio e Artemia Schiano. Era il terzogenito dopo Raffaella e Adone scomparso prematuramente. Dopo di lui Giacomo e la coppia Carlo e Giuseppe. Mi sono sempre chiesto il perchè noi pilarellai quando parlavamo di lui facevamo seguire al nome il “di“, Elio del muscino o Elio di Artemia. Questo non avveniva con i fratelli o con la sorella. Probabilmente ciò era dovuto dal fatto che negli anni della fanciullezza, specialmente alla Pilarella, erano diversi a portare quel nome basti ricordare i figli di Zi Augusto e di Vincenzo Della Monaca.

L’infanzia la passò all’ultimo piano del palazzo di Giulia, lato sinistro guardando il mare, e il balcone diventò presto il suo posto su un teatro che si affacciava sul molo e di consequenza sui pescherecci e le persone che lo fraquentavano. E la sua mente incamerava tutto senza tralasciare nulla. Si appassionò presto ai fumetti, quelli senza dialogo provenienti dall’America, come il forzuto cavernicolo Alley Oops oppure Abbie an’Slats ideate da Vincent T. Hamlin. Elio la sera si divertiva a copiarli su richiesta dei fratelli più piccoli e da li nacque quella grande passione che lo accompagnerà tutta la vita.

Poi venne la guerra e la distruzione di gran parte del paese tra il quale quella parte del molo che comprendeva la sua casa. Sfollarono a Cala Grande e al ritorno si stabilirono allo Sconcione, all’inizio della Scala Santa. Ma Elio, che aveva compiuto da poco i 13 anni fu iniziato alla via del mare imbarcando come allievo motorista sul motopesca S.Stefano, il primo di una lunga serie. Dei figli di Artemia in molti lo consideravano il più bello con quella faccia alla Jack Kerouac (nella foto) autore del best seller “On the road“. La prima grande passione è stata il palio marinaro. Elio, così come i fratelli, è stato sempre molto sportivo. Esercizi quotidiani e zero stravizi. E’ stato il dogma che lo ha accompagnato per tutta la vita.

Gli anni ’50 lo hanno visto gareggiare ben 5 volte, sempre con i colori del suo rione. L’esordio avvenne nel 1950 quando all’età di 19 anni fu chiamato a bordo il 15 mattina perchè un componente dell’equipaggio si sentì male. Non ci pensò due volte sebbene dovette rinunciare a malincuore alla gara tra macchinisti e capitani della scuola Enem che si sarebbe svolta lo stesso giorno. Il resto dell’equipaggio era formato da Lionello di Severina, Luigi Palombo, Meco di Mirra e sulla prua Toretto. Arrivarono terzi. La vittoria arrivò nel 1952 con Benedetto Mazzacane al timone, Toretto capovoca, Elio secondo reme e i Pilombi terzo e quarto. Nel 1953 fu terzo posto ma vide l’esordio di Carlo al terzo reme. Completava l’equipaggio, oltre a Mazzacane e Toretto, Silvano la Serpa. Il periodo d’oro del rione inizia nel 1954 a cui fece seguito la vittoria del 1955. In quegli anni Elio era imbarcato ed impossibilitato a participare.

In questi anni di pandemia e black out grazie ad Internet sono nati innumerevoli opinionisti del web. Ognuno dice la sua, ma sono sobbalzato dalla sedia quando uno di questi a precisa domanda del conduttore sul perchè un vogatore della Pilarella non partecipò  al palio in un tale anno rispose  “perchè doveva aiutare la famiglia ed era imbarcato”. Nulla di più falso. La verità è che alla Pilarella si cresceva già sapendo che il mare veniva prima di tutto e non si poteva rifiutare un imbarco per fare il palio. E poi all’epoca i vogatori, tra i quali Elio, erano tutti figli di armatori quindi abbastanza benestanti e i soldi che guadagnavano erano per loro non certo per aiutare la famiglia. Nel 1957 infatti Carlo e Peppe erano imbarcati e l’equipaggio era formato da Remo Baciccia, Toretto, Mario Scotto e Elio. Fu la terza vittoria di fila. Nel 1958 Elio era bloccato da un paio di mesi ad Horta nelle Azzorre che già allora era un porto di transito dei velieri che dall’Europa attraversavano per le Americhe e viceversa. L’equipaggio passava il tempo giocando a calcio e a basket con gli indigeni, ma anche andando al Peter’s Cafe’ il famoso ritrovo dell’ isola. Tutti ma non Elio che si dilettava con la sua arte a dipingere un murales dell’ Argentario sull’antimurale di Horta. Nel frattempo i fratelli imbarcarono con la Croce e si ruppe il giocattolo. Vinse il Valle ma Elio ha sempre affermato che, se ci fosse stato lui, avrebbe fatto di tutto per impedire ai fratelli il passaggio al rione biancorosso.

Ma è sul crinale del decennio che si compie il capolavoro. Quella vittoria è considerata ancora oggi la più grande della nostra storia. Erano circa le sette della sera (non c’era l’ora legale) del 15 Agosto 1959 quando sotto il comune arrivarono i vincitori. Faceva un caldo pazzesco, fu uno dei più bollenti palii della storia. Fu anche il più veloce fino allora. Ed a vincerlo fu la Pilarella al termine di una lunghissima volata durata ben dodici mesi. I secondi stavano ancora girando fuori. Ma che gente era? E’ anche questo il palio, ma è anche memoria. E la memoria ci ricorda che quel 15 d’Agosto 1959 c’è un uomo sudato ed in canottiera bianca che aspetta di abbracciare non un suo figlio, non due suoi figli, ma ben tre suoi figli. Una cosa mai accaduta prima e che difficilmente, nella storia del palio, accadrà di nuovo.

Una volta in pensione Elio è stato chiamato a dipingire gli stendardi del palio. Ne ha fatti tantissimi imparando l’arte del dipinto su seta. Nel suo ultimo standardo, quello dedicato a Publio Terramoccia nel 2019, mette insieme le sue origini, la sua storia, il suo stile, il virtuosismo, la creatività e sopratutto la sua inarrivabile passione, il perfetto testamento di uno dei grandi dei nostri tempi.

Parlare con lui è stato un piacere, sembrava di essere alla Versiliana. I suoi racconti erano veri, non diceva bugie, reinventava la realta transformandola in un romanzo. Perchè la vita di tutti noi è in fin dei conti un romanzo. Ma la sua di più. Tante volte in estate lo incontravo a mezzogiorno in via XX Settembre che intratteneva i turisti che gli avevano chiesto una semplice informazione raccontandogli la storia del paese svariando dagli spagnoli ai greci financo ai fegati di pescatrice e ai gattucci arrosto con il finocchietto selvatico, da Orione a Capo Horn. Con le parole ci ha fatto vedere cose che non avremmo visto altrimenti, provare emozioni, ci ha fatto scoprire e conoscere cose che non conoscevamo. Saranno proprio le sue parole a mancarci di più . Il suo saperci portare in ogni momento in ogni luogo del mondo, sia quello vero che quello da lui fantasticamente disegnato.

“Quando muore un artista muore il mondo“ ( Alberto Moravia al funerale di Renato Guttuso nel 1987).

E nave, porca nave , vai
La gamba mi fa male, dai
Le luci di Marsiglia non arrivan mai
“ Un hydrolat lacrimal lave
Les cieux vert-chou, les cieux vert-chou
Sous l’arbre trendonnier qui bave vous cautious “
( Arthur Rimbaud – Roberto Vecchioni )

Ciao, una Rotonda sul mare il nostro disco che suona …