sabato, Aprile 27, 2024
Storie dell'altro secolo

Storie dell’altro secolo: Amico fragile

“Il Roscietto stava arraffando gli ultimi oggetti di valore quando fu sorpreso dall’ululato della sirena. Quella mattina di un caldo Agosto inizio anni ’80 era entrato nell’appartamento del noto imprenditore N.M. in via Martiri d’Ungheria qualche minuto dopo averlo visto uscire in compagnia della moglie. Doveva essere un lavoro pulito, privo di rischi, non fosse stato per una vicina di casa che probabilmente lo vide in azione attraverso una finestra ed allarmata chiamò i carabinieri. All’epoca dei fatti il Roscio avrà avuto poco più di ventanni ma un vissuto che ad una persona normale non basta una vita.

Era giunto in paese all’età di circa 10 anni, forse meno, dopo aver passato l’infanzia in collegio di Civitavecchia dove viveva con la famiglia a causa del lavoro del padre. Si stabilirono nella via del mercato e subito divenne la mascotte di tutti. Piccolino, carnagione bianchissima tutta ricoperta di lentiggini e la testa piena di riccioli rossi. Sembrava molto al Gianburrasca di Rita Pavone agli inizi anni ’60. Sebbene fosse un ragazzino molto sveglio non aveva molta voglia di andare a scuola ed infatti la lasciò per andare a lavorare nel forno di Alocci. Iniziò a giocare nei pulcini dell’Argentario e quel mastro di Rinaldo Di Chiara lo mise subito all’ala destra. E lo incitava.”Vai Roscietto! Beviteli tutti!” E lui scendeva sulla fascia, ubriacando i bambini che si trovava davanti con una serie di finte.

Ma quella mattina c’erano i carabinieri da dribblare. Stavano salendo le scale ed erano ormai ad un passo. Il Roscio non si fece prendere dal panico. Indossava soltanto un paio di calzoncini ed ai piedi un paio di Timberland vissute. Prese al volo una pelliccia di visone e se la mise addosso, si coprì la testa con una parrucca ramata di S., e con la borsetta carica di ori stretta in mano uscì sul balcone e con un balzo di circa 7 metri atterrò nel verde del giardino. Si dette una rassettata alla parrucca ed una volta fuori al cancello prese Via dei Tonni e con il fiato bloccato in gola si lanciò a scapicollo giù per le rampe di scale inseguito presto da due carabinieri.

Suo babbo era un abile pescatore di lenza e quando il Roscietto era piccolo lo portava sempre con se trasmettendogli questa grande passione, insegnandoli tutti i trucchi del mestiere. La passione aumentò con l’eta e ben presto lo si poteva vedere tutto solo armato di lenza, coppo e secchio intento a pescare al porto o sul Molo. Spesso prendeva delle spigole, orate, ricciole che lesto andava a vendere al suo pescivendolo di fiducia: Sergio Loffredo.

Dopo l’orto di Dassori giunto in fondo alla prima rampa si trovò di fronte il primo ostacolo: il Bianchino. Stava seduto all’ombra fuori la porta intento a leggere il giornale quando fu allertato dalle urla dei carabinieri. Buttò in aria il Tirreno ed alzandosi di scatto si mise in mezzo con le braccia spalancate cercando di ostacolare quello che lui credeva “una signora impellicciata”. Ma il Roscio tirò dritto travolgendolo, mandandolo in terra a gambe all’aria. Rosa, la genovese, richiamata dalle urla cerco di portare il marito in casa, ma lui, testone, non sentì seghe e si accodò ai carabinieri ben presto superandoli.

Quando smise di andare a scuola il Roscio passava intere giornate al Club di Via Cappellini a giocare a boccette o a carambola con Lalla, Companatico, Marietto Pitone e Mario Bani. Solo che lui aveva 15 anni gli altri, chi più chi meno, 40. Ricordo inoltre che mentre per la maggior parte di giovani locali il Bar Centrale era a quel tempo tabù, ci si poteva andare solo a giocare la schedina, lui vi era di casa. Specialmente in Estate quando frequentava i pariolini guidati da Paolo Moricca. Vestiva sportivo, tutto made in Panzarotto, altro suo grande amico, e non si faceva mai mancare il maglioncino legato sulle spalle. Appena il Roscio entrava nel bar, Oreste, incurante di chi fosse nel locale, gridava:”Nino, un caffè per il Principino!” Credetemi, non era mica da tutti… Rientrava a dormire ad ore tarde, in compenso restava a letto fino le due del pomeriggio e quando la mamma premurosa gli portava la colazione a letto, lui pronunciava quella che sarebbe diventata la sua frase cult: “No! Voglio i bomboloni di Pettola”. Il tutto pronunciato con le O strascicate. Perchè il Roscietto ha sempre parlato con un forte accento romano. Fu infatti lui il primo ad importare la parola “pischello”.

Continuò a correre senza prendere fiato, schivò Assunta la Cicca che spaventata esclamò” Madonnaaaa, e chi è stà grullaaa”, e dopo l’ultima rampa buia finalmente vide la luce. Stette un secondo fermo, indeciso su quale direzione prendere, ma subito optò per il Molo. Seduti da Chiodo c’era un gruppetto di perditempo formato da Dudù, Peppone, Baciccia, Lapino e Pasquale. Cominciarono a dire:” Ma chi è? Chi è? Chi eeeeè?”. Il primo a sgamarlo fu Dudù che naturalmente si mise dalla sua parte e gridò: “Scappa Roscio scappa!!!”. Il Bianchino tagliò il traguardo volante del bar Chiodo con 15 secondi di distacco, i carabinieri a circa 20. Fu a quel punto che Peppone agguantò Luigino per il collo e mentre Pasquale ascoltava in silenzio aumentando nervosamente il ritmo delle tirate, gli chiese:” Ma che è successo… raccontici…” Il Bianchino che non ce la faceva nemmeno a respirare, intervallando una parola a tre sospiri rispose:” Ma che ne so… belin… ho sentito… i gridi… fighiu… ho visto…sta matta tutta imbelinata… “Peppone: “ma quale matta! quello è il Roscietto… “Luigino: “Il Roscietto? E chi è…?” Peppone: “il figlio di …. il …..”. Luigino: “Belin, è pure il mi parente…” e di schianto crollò in terra.

Ma facciamo di nuovo un passo indietro per scoprire quello che è stato il vero amore del Roscio. Fine anni ’70, un tardo pomeriggio settembrino, con le prime barchette che pescavano a sugarelli e bope. Fuori la punta del Moletto due tavole a vela. Una rossa e l’altra celestina. Publietto bermuda fiorati tipo maori, il Roscio con addosso scoloriti Port cross e una maglietta bianca con la linguaccia dei Rolling Stones. Facevano le sguerguenze sfruttando gli ultimi soffi di foragnola, disegnando figure bizzarre. In quelli che loro chiamavano “i duetti “, si incrociavano e si sovrapponevano con naturalezza e estroversione fino a muoversi così vicini da sembrare una farfalla bicolore e poi… in ginocchio, di traina e a sedere. Avevano due corpi che sembravano fatti a posta per avvicinarsi, corteggiarsi, unirsi. La conclusione era un folto gruppo di persone sugli scogli che si fermava ad incitarli e ad applaudirli. Sono stati loro i primi windsurfisti locali. Il primo assoluto Publietto che caricava la tavola sulla mini rossa. Quando ha iniziato lui il windsurf a Santo Stefano non sapevano nemmeno che fosse. Il Roscietto invece arrivava sul blocco a bordo dell’Honda 400 four da scippo senza specchietti che parcheggiava accanto al murello di granito. Prima di scendere in acqua se ne stava a parlare di pesca con Caiola e Mario Lupo. Dopo di loro hanno provato altri Leoni del Moletto, ma solo Cachino e Davide hanno seguito le orme dei maestri, altri come Vittorio e Dudù, svogliati, sono durati come un abbaio di cane e non hanno cavalcato l’onda del Mercoledì da Leoni. E la sera tutti a ballare allo Strix. Al ritmo della prima discomusic, di “I feel love” di Donna summer, di “Don’t let me be misunderstood” di Santa Esmeralda e Leroy Gomez. Intanto nei bui corridoi, seduti sui divanetti crescevano a dismisura i fumatori di canne e quel che è peggio si vedevano in giro figure losche e sconosciute. In seguito qualche turista, osservando le meraviglie che i due facevano con la tavola, si appassionò al windsurf. Per esempio “gli uguali”, che tempestavano di domande sia Publietto che il Roscietto, e con il tempo si sono dati alle regate di altura con Marzilio e Bertelli di Luna Rossa. Le tavole erano conservate nella friggera di Sergio Triglia, tra rezze, biciclette e gabbie per seccare la bottarga. Oggi quello che dovrebbe essere un museo del Molo che fu è un’autorimessa gestita dal garagista Bigiù. Ed è con molta malinconia che ho visto le scarpette da surf di Publietto ai piedi di Rosa. Tutte slabbrate. Dice che sono buone per proteggersi dai ricci.

Mentre furono portati i primi soccorsi al Bianchino, il Roscietto giunse tutto sparato al Grottino dove trovò sulla porta Francesco di Gorizia, allora gestore del locale. Questi non fece neanche in tempo a rendersi conto di cosa stesse accadendo che il Roscietto si chiuse nel cesso e la “leggenda” dice che “scaricò” e …addio gioielli di S. Avvenne tutto in un attimo e quando uscì i carabinieri erano ancora all’altezza di Maria Angela. Intanto fuori al bar Rosanna di Antigone con la bicicletta in mano gridava: “è lui, è lui, acchiappatelo, acchiappatelo!!!”, e sinceramente non si capiva se era più schizzata lei o il Roscio che scappò verso il fanale e si rivide in paese dopo tre giorni come se nulla fosse.

Amava il Milan, quello di Rivera e di Pierino la peste, i suoi idoli. Ricordo che negli anni ’70 si organizzavano delle partite al campo di Talamone. Scapoli contro Ammogliati. Io, sebbene fidanzato con gli sposati, stopper palla o piede. Lui con gli scapoli, sempre lì, defilato a raccomandarsi a Roselli, il regista, di lanciarlo sulla fascia. E Roselli lo lanciava. E il Roscietto correva…correva…fino a raggiungere il fondo e crossare al centro dove c’era Mignanello che con le braccia alzate invocava quella palla che immancabilmente padellava. A cavallo degli anni ’80 la Sipa organizzava un torneo ad alto livello. Venivano anche forti squadre da fuori. Il primo anno vi partecipò tra le altre una squadra il Manno Pesca. La allenava Borghini con Peppe Roco e Enzo il Baio accompagnatori. Era una selezione fortissima. Una vera All Stars. Composta da tesserati e ex campioni. In porta Ginori, poi il Topetto, Ottorino Calcetti, Mauro il Gago, Ciccio, Giampino, Piovino, Roselli, Erasmo e all’ala destra lui. Il Roscio. Con i capelli alla Dirceu. Inutile dire che vinsero passeggiando. E vogliamo parlare dei Paliotti? Ne ha vinti una caterva al timone guidando equipaggi formati da Mignanello, Francone, il Giocatore, Cimini, l’Argentino. Era benvoluto da tutti. Sempre in quegli anni il Bar Giulia poteva essere paragonato al Bar Laika di Radiofreccia. Fumo, più spacciatori che clienti, siringhe nei gabinetti. A volte il Soffione faceva come il barista interpretato da Guccini nel suddetto film. Prendeva il Roscietto da parte e lo confessava. Quante volte i carabinieri hanno fatto irruzzione nel bar a fare la tastarella mettendo tutti al bancone con le braccia alzate. In quegli anni iniziò purtroppo il triste declino del Roscio. Io l’ho sempre chiamato così. Non so per quale motivo. Ma lui ne era fiero. Mi chiamava sempre con il mio soprannome precedendolo con un: Grande! Negli ultimi anni non veniva più al Giulia, frequentava il Bar Firenze o il Centrale. Ma lì purtroppo non c’era più Oreste che bonario lo chiamava Principino. Andava nella laguna a pescare di frodo con lo sciabbichello diventando la vera ossessione di Lucianone il guardia pesca. Lo incontravo spesso ad Orbetello alla fermata della Rama ad aspettare la corriera per tornare in paese. Smagrito e quella goccetta sempre sulla punta del naso. L’ho sembre imbarcato. E lui molto educato mi ringraziava all’infinito. Diceva che non era da tutti, mi faceva capire che altri facevano finta di non vederlo, ma sempre con grande dignità, senza fare nomi. Era contento che anche Publietto e la Bestia quando lo vedevano lo caricavano. Magari rimproverandolo.

Lo so, il Roscio non è un personaggio vincente, non è una persona che ha agito bene ed io non ho voluto fare un pezzo per difenderlo, ho voluto parlare del Roscio perchè è esistito. Oggi non se ne parla mai o se lo si fa solo in negativo dimenticandosi invece le cose belle belle che ha fatto e che il suo unico torto è stato, forse, quello di essere stato troppo fragile. Spero soltanto che lassù abbia trovato una tavola a vela e sopratutto un buon vento.

Let’s go surfin’ now.
Ev’ ribody’s learnin’ how
Come on safari with me
Come on baby, wait and see,yes
ìm gonna take you surfin’ with me
Yes baby,wait and see, yeah,
ìm gonna take you surfin’ with me.
(Surfin’ Safari – Beach Boys).

“La vita non è perfetta,le vite dei film sono perfette,belle o brutte,ma perfette. Nei film non ci sono tempi morti, la vita è piena di tempi morti. Nei film sai sempre come va a foinire, nella vita non lo sai mai”.
(dal film:”Radiofreccia” di Luciano Ligabue)

“Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori, e si misero a tavola con lui e con i discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli:’Perchè il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?’. Gesù li udì e disse:’Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori.’.”
(dal Vangelo secondo Matteo).

Una felice Estate a tutti.

Ciao.

Una rotonda sul mare il nostro disco che suona